UN RITO COLLETTIVO TRA FUOCO E SIMBOLOGIA
Il Vecchione 2025 “Gremlin oviparo”
Ogni 31 dicembre, quando la notte avvolge Bologna e l’attesa del nuovo anno si concentra nelle piazze del centro, la città rinnova uno dei suoi riti più riconoscibili: il rogo del Vecchione. E’ un gesto simbolico collettivo, carico di significati antichi e sempre nuovi. Bruciare il Vecchione significa salutare ciò che è stato, liberarsi del peso dell’anno trascorso e affidare al fuoco paure, errori, tensioni, aspettative mancate.
Nel 2025 questo rito assume la forma del “Gremlin oviparo”, una figura che, già dal nome, suggerisce inquietudine, proliferazione e responsabilità collettiva. Come accade da decenni, il Vecchione è una metafora, una sintesi visiva e simbolica dell’anno che si chiude.
Per comprendere davvero il significato del Vecchione 2025, però, è necessario fare un passo indietro e tornare alle origini di questo rito. Perché il fuoco? Perché un “vecchio”? E perché Bologna ha scelto, nel tempo, di raccontare se stessa proprio attraverso questo rogo rituale?
Origini e significato storico del rogo del Vecchione
Il rogo del Vecchione affonda le sue radici in tradizioni antichissime, comuni a molte culture europee. Il “vecchio” rappresenta simbolicamente l’anno che muore, il tempo consumato, ciò che non serve più. Bruciarlo significa chiudere un ciclo e prepararne uno nuovo, secondo una logica rituale che unisce superstizione, spiritualità e bisogno di rinnovamento.
Il fuoco, elemento centrale del rito, è da sempre associato alla purificazione e alla trasformazione. Non distrugge soltanto, ma trasforma: ciò che brucia diventa cenere, e dalle ceneri nasce simbolicamente il nuovo. In questo senso, il Vecchione non viene eliminato, ma “superato”. Il suo sacrificio segna il confine tra prima e dopo, tra ciò che è stato e ciò che verrà.
A Bologna, questa tradizione si è evoluta nel tempo assumendo una dimensione pubblica e artistica. Il Vecchione non è più un simulacro generico, ma una vera e propria opera effimera, spesso carica di riferimenti politici, sociali e culturali. Ogni anno il suo aspetto racconta un tema, una preoccupazione, una contraddizione del presente. Il rogo diventa così un gesto di consapevolezza collettiva: non si brucia il passato in modo indiscriminato, ma lo si guarda in faccia, lo si nomina e poi lo si lascia andare.
È proprio questa stratificazione di significati — arcaici e contemporanei — a rendere il Vecchione un rito ancora vivo.
Il Vecchione 2025: cosa rappresenta il “Gremlin oviparo”
Il Vecchione 2025, intitolato “Gremlin oviparo”, si presenta come una figura volutamente disturbante. Non è un vecchio rassicurante, né una caricatura ironica in senso tradizionale: è una creatura ibrida, animale e meccanica insieme, che incarna l’idea di qualcosa che genera conseguenze anche dopo essere stato creato.
Il termine gremlin rimanda a esseri caotici, nati per sabotare, moltiplicarsi e sfuggire al controllo umano. L’aggettivo oviparo aggiunge un ulteriore livello di lettura: ciò che viene deposto continua a vivere, a schiudersi, a produrre effetti nel tempo.
Dal punto di vista simbolico, il Vecchione 2025 parla di responsabilità. Le uova che il gremlin porta con sé rappresentano azioni, scelte collettive, decisioni politiche, tecnologiche o sociali che, una volta “deposte”, non possono più essere ignorate. Anche se il Vecchione viene bruciato, resta la consapevolezza che ciò che è stato generato continuerà ad avere un impatto.
La scelta di una figura non antropomorfa segna una rottura rispetto a molte edizioni precedenti. Qui il “vecchio” non è semplicemente il passato che invecchia, ma un sistema che si autoalimenta, che produce effetti a catena. Il Gremlin oviparo diventa così la metafora di un anno in cui le crisi — ambientali, digitali, geopolitiche — non si sono limitate a esistere, ma hanno prodotto nuove fragilità.
Bruciare questo Vecchione significa riconoscere il problema pubblicamente. Il fuoco agisce come gesto di presa di coscienza: non nega ciò che è stato, ma ne segna la fine simbolica, affidando al nuovo anno il compito — e la responsabilità — di gestire ciò che resta.
Arte pubblica e messaggio sociale: leggere il Vecchione oltre il rogo
Come ogni anno, il Vecchione trova la sua collocazione nel cuore simbolico della città, Piazza Maggiore, trasformando lo spazio urbano in un luogo di aggregazione e condivisione. L’opera non è pensata per durare, ma per essere vista, interpretata e infine distrutta. È questa natura effimera a renderla potente: il Vecchione esiste per dire qualcosa adesso, non per essere conservato.
Il “Gremlin oviparo” si inserisce pienamente in questa tradizione di arte pubblica temporanea. La sua forza prende vita nel messaggio che trasmette: viviamo in un tempo in cui le conseguenze delle nostre azioni si moltiplicano più velocemente delle soluzioni. Tecnologia, informazione, consumo e crisi ambientale sono sistemi ovipari, capaci di produrre effetti anche quando crediamo di averli messi sotto controllo.
Il rogo finale non è quindi un atto di rimozione, ma di trasformazione simbolica. Bruciando il Vecchione, la città non nega il “gremlin”, ma afferma la volontà di interrompere il ciclo che rappresenta. È un gesto laico, privo di retorica religiosa, che però conserva una dimensione rituale fortissima: guardare il fuoco significa condividere un momento di passaggio, accettare che il cambiamento richiede anche la fine di qualcosa.
In questo senso, il Vecchione 2025 parla direttamente alla comunità. Non offre soluzioni, ma pone una domanda chiara: cosa stiamo generando oggi che domani non potremo più controllare? Ed è proprio questa capacità di interrogare il presente che rende il Vecchione, anno dopo anno, uno degli strumenti narrativi più efficaci con cui Bologna racconta se stessa.
Curiosità sul Vecchione di Bologna
Il termine Vecchione non nasce come nome ufficiale, ma come definizione popolare. Indica il “vecchio anno” personificato, una figura che porta su di sé tutto ciò che il tempo ha consumato. A Bologna questa denominazione è rimasta, diventando parte integrante dell’identità del rito, molto più riconoscibile di qualsiasi titolo formale.
Una delle curiosità meno note riguarda i materiali utilizzati per la costruzione. Sebbene l’impatto visivo sia spesso imponente, il Vecchione è progettato per bruciare in modo controllato: legno, materiali leggeri e strutture studiate affinché il rogo sia spettacolare ma sicuro. Nulla è lasciato al caso, perché il fuoco è sì simbolo, ma anche elemento concreto da governare.
Nel corso degli anni, alcuni Vecchioni hanno fatto discutere più di altri. Le edizioni con riferimenti espliciti all’attualità politica o sociale hanno spesso acceso dibattiti ancor prima del 31 dicembre. È parte del gioco: il Vecchione non nasce per essere neutro, ma per stimolare una reazione, anche critica.
C’è poi una ritualità non scritta, tutta bolognese. Molti spettatori assistono al rogo in silenzio, altri applaudono, altri ancora esprimono un desiderio proprio nel momento in cui la struttura cede alle fiamme. Piccoli gesti personali che trasformano un evento pubblico in un’esperienza intima e condivisa allo stesso tempo.
Il rogo, la notte di San Silvestro e il senso di una fine condivisa
La notte del 31 dicembre, quando il conto alla rovescia si avvicina, il Vecchione diventa il centro simbolico dell’attesa. Il fuoco arriva come atto conclusivo, ma anche come passaggio. Non è un finale spettacolare fine a se stesso: è un momento in cui la città si riconosce comunità, riunita intorno a un gesto che parla di fine e di possibilità.
Nel caso del Vecchione 2025 “Gremlin oviparo”, il rogo assume un valore ancora più evidente. Bruciare una creatura che genera conseguenze significa affermare, almeno simbolicamente, la volontà di interrompere un ciclo. Le fiamme non cancellano ciò che è stato, ma segnano un confine: da qui si ricomincia, con maggiore consapevolezza.
Il Vecchione non promette un anno migliore, né offre soluzioni. Fa qualcosa di più sottile e potente: rende visibile ciò che vogliamo lasciarci alle spalle. Nel buio della piazza illuminata dal fuoco, ogni spettatore affida alle fiamme il proprio carico personale, mentre la città compie un gesto collettivo di liberazione.
Quando il Vecchione crolla e diventa cenere, Bologna saluta l’anno vecchio senza nostalgia e senza rimozione. È questo il senso profondo del rito: accettare la fine come parte necessaria del cambiamento. E dalle ceneri del “Gremlin oviparo”, come ogni anno, prende forma un nuovo inizio.

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